Rubrica- Non sono Penelope (ma neanche poi così male)
Non so che senso abbia dire oggi “Sono una donna” e affermarlo con convinzione.
“Fiducia in se stessi fino alla presunzione”, impartiva la decima delle regole del Decalogo di La Marmora.
Almeno così mi aveva raccontato un tale che aveva fatto il bersagliere e che aveva corso dietro alla sua vita per diventare un uomo.
Mi sono sentita donna la prima volta quando il mio corpo è iniziato a cambiare e ho capito che stare bene comporta l’accettazione della trasformazione, nulla resta uguale e, a volte, è un bene.
Non è stato sempre facile, i passi verso la conquista della consapevolezza sono lunghi , solo crescendo scopriamo che il bello di certe altezze richiede sopportazione.
E allora calziamo il tacco stiletto e un atteggiamento disinvolto, come un bodybuilder farebbe con un bilanciere da 100 kili.
Ecco, è questa complementarietà di forze che fanno l’uomo e la donna diversi eppure uguali, eternamente distanti, ma eternamente uniti, molecole a doppio filamento che possono interscambiarsi l’anima, senza sentirsi necessariamente ibridi.
La paura di perderci nell’altro ci fa troppo spesso perdere l’altro, qualche volta siamo noi a perderci, a non riconoscerci più.
Mi sono sentita donna quando per la prima volta mi sono innamorata della sensibilità di un ragazzo che era diverso dagli altri e sapeva compensarmi, perché mi placava le complicazioni con la forza di un sorriso.
Lo stesso che in certe situazioni non riusciva a darmi protezione, sebbene lui fosse il mio uomo, voleva essere solo un uomo.
Ho imparato allora a essere forte per tutti quanti, a fingere sorrisi e a scindere il sentire dal sapere, a vivere la spensieratezza dell’oggi senza edulcorarla con stupide promesse, l’amore vero – mi son detta – vive di praticità.
E cosa cambia la firma su un contratto?
È meglio consolidare la quotidianità.
Forse non è stato questo il vero problema, noi siamo morti di individualità, di ruoli che si sono mischiati senza definirsi, di una ragione saggia che ha invecchiato il sentimento mentre ingrigiva gli sguardi, e io non ho più visto il suo sorriso.
A pensarci, noi donne siamo addestrate a una società che a furia di difenderci dai pugni sulla faccia, ci ha fatto guerriere, braccia sospese, mani chiuse, posizione di guardia.
Sono stata vittima anch’io di un falso modello femminista, che mi ha indotto ad “attaccare per difendermi”, fare dell’empowerment potere e non risorsa.
Mi mancava vivere un momento di fragilità, sentire le spalle forti dell’amore e lui che mi dicesse “va tutto bene, io sono qua”.
E allora mi son vestita di una falsa sicurezza, di una durezza uomo che era scorza del frutto proibito della femminilità.
Volevo essere come un uomo, non volevo essere un uomo.
“Io non posso più solo studiare” .
“Io devo lavorare”.
“Io non posso avere un figlio prima di trovare me”.
“Io non posso fare quello che non farebbe un uomo, io sono uguale a te”.
Forse, la vera parità contempla riconoscere che esistono delle differenze, se così non fosse saremmo tutti uomini o tutti donne.
Eppure il fare diverso e il diverso sentire non è una scusante per proferir parola sulle pari opportunità.
Il tale bersagliere ha pianto al mio cospetto e per la prima volta si è sentito un uomo, la corsa non era ancora finita.
La fanfara suonava ancora, ma questa volta era un canto d’amore.
Aveva riscoperto le sue fragilità, si può piangere per umanità.
Siamo prima di tutto persone, vestiamo ruoli che richiedono all’uomo e alla donna di essere se stessi e l’altra metà, non sarà un caso se una piccola quantità di estrogeno e di testosterone è presente rispettivamente nei corrispettivi opposti.
E allora basta con questa lotta di potere, con gli abusi e i soprusi, con la mortificazione delle debolezze.
Sono una donna e voglio essere donna.
Sono una donna e voglio lavorare.
Sono una donna e voglio avere un figlio anche se voglio lavorare.
E non ditemi che questo può essere un problema, anche i padri aspettano un bambino, si chiama genitorialità.
Sono una donna e voglio essere libera di piangere.
Sono una donna e voglio essere femmina, senza sentirmi frivola se oggi è il mio momento vanità.
Perché essere madre non annulla la mia personalità.
Sono una donna e voglio dire quello che penso, contando sulla forza del cervello e della civiltà, le urla e le mani non hanno senso fuori dalle lenzuola.
Ricordo in maniera nitida il momento in cui rimasi sola.
Sentivo l’agitazione dei miei genitori, all’improvviso la mia vita non era più la stessa, nonostante facessi le stesse cose, perché senza un uomo ero diventata indifesa.
All’improvviso il mondo era pericoloso, gli uomini ipotetici predatori, tutto intorno a me non era più vivibile.
Dov’era finita la libertà che con fatica mi ero conquistata?
Insomma, non bastava studiare , lavorare, uscire e guidare per sentirmi sufficientemente in grado di farcela da sola?
L’ho fatto.
Ho portato avanti la mia vita senza cambiarla di una virgola.
Io e la mia coupé usata dal fascino intramontabile abbiamo macinato chilometri e siamo tornate a casa a tarda notte, ma questo non mi ha fatto sentire più donna.
Non mi ha fatto sentire più me.
Ho scoperto d’un tratto, proprio nel momento in cui ero più vicina al panico del tutto che porta a niente, il potere di disinnescare.
Cosa vuol dire praticamente?
Vivere un attimo di niente, senza fare niente.
È l’attimo di eternità o l’eterno attimo in cui non pretendiamo niente da noi stessi e smontiamo le difese, restiamo scoperti.
Lí, nello spazio vuoto del gradino che portava a me vera, ho imparato a sentirmi.
Mi è sembrato di udire una musica di sottofondo che contemplava tutti i generi, somigliava a un’opera bizzarra che non pretendeva di piacere, chiedeva a se stessa solo completezza.
Penso che Freddie Mercury intendesse questo quando ha composto Bohemian Rhapsody, quando ha mescolato stili e musiche diverse per cercare l’uguaglianza nella diversità, per andare oltre le convenzioni, per lanciare un messaggio che era solo suo, ma,oggi, ha un senso nuovo, perché la musica continua a suonare, anche se gli anni passano e certi concerti non li vediamo più.
Anche la fanfara ha smesso di suonare e i bersaglieri hanno tolto la vaira, ma il mio ancora canta mentre mi viene incontro.
Tante volte, quando il mio orgoglio si ergeva a giudice di mancanze che difendevo di diritto, mi hanno detto “ecco un’altra femminista”.
Ho avvertito una nota di disprezzo in quelle parole e tanta confusione, la mia e anche la loro.
Ho lavorato molto su me stessa, in giro c’è tanta informazione, ma pochi disposti ad ascoltarsi.
Io l’ho fatto e so per certo che l’unica cosa che voglio è essere me stessa, il dovere primo per sentire che il campare possa essere degno di essere chiamato vissuto.
Sono una donna, oggi lo affermo con convinzione.
Ci sono parti di me che ancora sfuggono al mio controllo e io le guardo con sguardo fiero, sono il bambino che è rimasto attaccato al petto. E io ancora le nutro, finché non saranno loro a stancarsi.
Se non ci fosse qualcosa di sfuggevole, d’altra parte, niente varrebbe il gusto della ricerca e tornerei a campare.
E adesso, adesso che ho detto tutto quello che avevo da dire, ditemi se sono femminista, ma soprattutto ditemi se non lo siete anche voi.
Aurora Ariano
Ogni uomo dovrebbe essere femminista. La vita e la bellezza sono meravigliosamente femmine
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