Le gerbere delle aiuole avevano un aspetto fresco, nonostante il caldo feroce. Il loro colorito vivido era opera di due guantoni gialli, dalle dita nere. Walter Kowalski, però, era bianco, e aveva un viso ‘troppo delicato per essere un uomo’. Così se ne era uscita Dalila, quando si era alzata dalla sediolina di paglietta color arcobaleno, per aprire leggermente la porta finestra che affacciava sul retro del giardino. ‘ Ma guarda con quale sicurezza taglia quelle piante per farle rinascere. Non so – sospirò, continuandolo a fissare imbambolata, mentre impugnava con decisione le cesoie – mi sembra forzuto e mi sembra anche gentile. E non è solo per i suoi lineamenti. Guarda con quelle manone come tocca quel fiore…’ Era la prima volta che la forza di un uomo non appariva brutale o rude, ma gentile. Non ero sicura che Walter fosse il tipo di uomo di Dalila, ma dentro quella stanza asettica, tutto ciò che veniva illuminato dal sole fuori sembrava più bello. Ogni cosa appariva meno spenta delle pareti bianche fredde, dello sguardo perso del piccolo Gabriel e del naso olivastro di Dalila, intrappolato nell’ovale di prugna. Il sottotono della sua pelle era opaco, sotto la luce naturale la cute appariva macchiata e stanca. Disse che ‘i suoi bambini’ avrebbero dovuto essere seguiti anche a casa, nel loro contesto, ma per otto euro e novanta a terapia non poteva permettersi altri figli al di fuori del suo. ‘Una volta ero entusiasta del mio lavoro. Ma il problema di ogni sistema è la comunicazione’. Proprio in quel momento la mia pancia a forma di uovo assunse un aspetto deforme. Immaginai mio figlio comunicarmi qualcosa. Che cosa? Avrei dovuto alzare il culo e mollare tutto? Prenotare una spa? In fondo io non venivo pagata neanche. Come tutte le altre tirocinanti. A questo pensiero l’odore dell’acqua sulfurea mi pervase la mente e per un attimo mi parve di vedere Water agguantare un fico d’India. Ma mai Ischia era stata così lontana come in quel momento. E mai il calore era stato così vicino da sudare le pieghe dell’anima. ‘Non è che la gente non sappia comunicare, mi riagganciò Dalila, facendo delle giravolte con la mano chiusa a tulipano. E’ solo che non è interessata a farlo. Qui dentro siamo tutti autistici. La differenza è che noi non abbiamo niente di speciale’. Mi chiesi a quel punto se volessi davvero essere normale, se non valesse la pena vivere per qualcosa di diverso e speciale. La mia mano fece il giro completo della pancia e non mi sentii più deforme nel modo in cui mi ero sentita fino a qualche tempo fa. Ero diversa, è vero. Ero un’altra versione di me. E, probabilmente, ce ne sarebbero state altre ancora. Forse ogni sogno nuovo ha il merito di trasformarci. Forse quando nasce un sogno, nasciamo anche noi. Quando Gabriel girò due tessere uguali con la faccia di clown e Dalila sfoggiò un sorriso che le stese il viso avvizzito, gridando ” Hai vintoooo!!!”, mi resi conto che il punto di confluenza fra il comico e il tragico non era un film di Chaplin in bianco e in nero, ma il sole entrato dentro la stanza a fare luce su quella felicità normale. Chi lo decide cosa è bello e cosa è normale? In quel momento la stanchezza di Dalila era bella. Ed era bello lo sguardo di Gabriel, esattamente perpendicolare al nostro, che non voleva dirci niente, ma ci aveva detto tutto. Gabriel era felice di quella piccola vittoria e la sua felicità voleva avere la forma di una bolla. ‘ Dalilabolle’, disse, pronunciando ogni parola senza uno spazio, come se la felicità avesse fretta. ‘Fai le bolle Dalila’, rielaborò prontamente la richiesta, quando lei indietreggiò la mano con il tubo di sapone. Quante forme aveva la felicità? Bolle grandi, bolle piccole, bolle sparse a terra, bolle acchiappate e scoppiate, bolle volate in cielo. Era semplicemente una felicità sfaccettata, arcobaleno riflesso dal sole. ‘Alla fine ho capito, facendo questo lavoro, che facciamo di tutto per adeguare questi bambini al mondo, invece dovremmo solo amarli, uno a uno, per quello che sono’. Il naso a stecco tornò a dilatarsi alla base, quando Dalila smise di sporgere le labbra in fuori, per rivolgermi la parola. Tante volte ci affanniamo a capire, quando dovremmo semplicemente amare, e amarci. Era così semplice. La vita era una bolla di sapone grande e delicatissima, sfaccettata dal sole. Solo Gabriel sembrava sicuro di questo, e ne chiedeva ancora. Ero entrata nell’ottavo mese quando mi sentivo ancora protetta nella mia bolla. Io e i miei sogni diversi. Come quello di scrivere un libro ed essere la madre che non avrei mai voluto essere. Sogni spaiati che non avevano ancora vinto, ma non erano morti ancora. Bisogna avere passione per capire i diversi, per non maltrattare una bolla o un fiore.
Diversi
Pubblicato da The Branding: esistenzialismo moderno
Laurea in Psicologia Clinica e di Comunità, femminista, appassionata di scrittura , di relazioni, di moda, lifestyle, di tutto ciò che allieta la vista e il cuore. Il mio motto è la felicità come esercizio di stile. Mostra tutti gli articoli di The Branding: esistenzialismo moderno