Noemi era il mio angelo. Mi era apparsa così, senza che me lo aspettassi, la terza volta che ero finita in pronto soccorso. Riversa sul lettino, con le fasce che stringevano due sonde al mio addome, mi trovai a scrutare i suoi occhi, appena sopra il bordino di carta della mascherina. Mi sembrarono enormi, dolci e lucidi come quelli di un cerbiatto. Le tenni la mano stretta stretta, mentre parlavo smaniosamente subissandola di domande, ma lei non la sottrasse nemmeno una volta. Le chiesi ogni cosa, tranne il suo nome. Lo lessi sul cartellino che aveva attaccato in petto, sul camice blu. Chissà se sarebbe apparsa ancora – pensai – perciò dovevo chiederle tutto. Era così forte l’ansia, da non accorgermi dell’acme della contrazione. La macchina aveva registrato la sua potenza. Per fortuna c’era il mio angelo. Disse che ero una donna resistente, ma pensare alla differenza fra resistenza e resilienza mi fece agitare ancora di più. Noemi continuava a dirmi come respirare, proprio come faceva la mia insegnante di yoga, ricordandomi di evitare il respiro di fuoco nel periodo mestruale. Avevo sottovalutato l’importanza del respiro in più mi momenti della mia vita. Per molto tempo avevo creduto di poter correre tutto d’un fiato fino al traguardo e, in certi periodi più bui, di poter restare in apnea più a lungo del dovuto, senza morire. Ma io non ero immortale. La morte si era insinuata più volte nella mia vita con le sue doppie facce, e tutte le volte mi aveva assottigliato le carni rendendomi simile a un giunco, con la schiena inarcata all’indietro, quasi fino a spezzarmi le ossa. In quel momento, però, facevo respiri lenti e profondi, mentre allentavo la morsa stretta della mano e dei pensieri. La certezza che il mio corpo stava inviando segnali positivi al cervello si chiamava ‘ossitocina’, e ‘questa è l’ormone positivo che stimola il rilascio delle contrazioni’. Tu pensa a qualcosa di positivo e respira’. Mi ricordavo di un altro momento in cui ero stata bene. Era quando avevamo fatto l’amore. Si dice, quando qualcosa è tanto forte, che è forte da star male. Ma io ero stata veramente bene tutte le volte che avevamo fatto l’amore. Il Professore diceva che non avremmo dovuto mai smettere, che fare l’amore avrebbe addirittura favorito il parto. Prima di sparire, il mio angelo, confermò che nel liquido seminale è contenuta una piccola quantità di prostaglandine, una sostanza responsabile della maturazione a livello locale del collo dell’utero. La stessa che, in dosi decisamente maggiori, viene utilizzata per l’induzione farmacologica del parto. Insomma, fare l’amore faceva bene e noi lo facemmo, fino alla fine. Quando sei incinta, ogni cosa si acutizza: la gioia, il dolore, la bellezza, l’eccitazione. Fu un overdose d’amore.
L’angelo
Pubblicato da The Branding: esistenzialismo moderno
Laurea in Psicologia Clinica e di Comunità, femminista, appassionata di scrittura , di relazioni, di moda, lifestyle, di tutto ciò che allieta la vista e il cuore. Il mio motto è la felicità come esercizio di stile. Mostra tutti gli articoli di The Branding: esistenzialismo moderno