Rubrica – Non sono Penelope (ma neanche poi così male)
Vorrei parlare del mio rapporto con le parole, di come un social sia stato capace di tradurre tutte le pause, i religiosi silenzi dei momenti laici che mi hanno vista in contemplazione di un posto, del niente, di me.
D’estate è perfino più facile gioire di qualcosa che non esiste, basta un fiore spostato dal vento.
La vita resta un fusto nodoso.
In quel punto ruvido si riflette, ma, è sempre estate, e la vita si parla davanti a un piatto colorato su una mise en place fresca.
Così tutto sembra più leggero.
Tanto domani è mare.
Ecco, il pensiero arrivato, lo stimolo che muove il fiore, ma mi sento piena, questa felicità non è vento che passa.
La mia vita è aggrappata a un vestito, a una parola che cerco di trovare mentre faccio l’ultimo sorso di birra e mi chiedo se abbia ancora il sapore dell’inizio.
È difficile arrivare alla fine e dire bene dell’opera, non siamo clementi, noi, noi siamo fottutissimi umani in astinenza dall’eroismo puro.
Il vecchio non perde memoria del bambino, aggrappa i sogni come la pelle e sente che la vita tira agli angoli degli occhi.
I miei vent’anni sono passati, anche se il numero tre non ancora compare.
Dicono sia il numero perfetto, che nei trenta ci sia la consapevolezza.
A dire il vero ogni anno in più mi sono sentita più consapevole di oggi e meno di ieri, ho contemplato gli errori nel caffè scuro, mentre mi viziavo l’ego con le abitudini in cui mi riconoscevo io.
Essere se stessi richiede il vizio di guardarsi nella foto vecchia e il vezzo di vedersi in tutti gli specchi.
Sono io, ero io, io chi sono se non ero io.
Lascia che ti dica quant’è bello l’amore.
L’ho visto per strada e in tutte le macchine ferme nel traffico, vetri abbassati sulla cenere di un mozzicone di vita attaccato alle dita.
Quante persone esistono al mondo e quanti mondi sono persone, chissà se tutti ci pensano al resto o intascano solo i pezzi interi.
Gli spiccioli di eternità sono parole che non metto insieme, eppure, vedi, un discorso parte sempre da zero.
Questa casa era vuota, solo un patio dove ho lasciato una sedia, una fantasia, a creare un momento di naturale nonsense.
Luglio é il mese perfetto per tante cose : i matrimoni, il mare, le cene all’aperto e la lontananza di tutto quello che è sul finire, abbiamo ancora un’estate nostra.
Ho capito che per essere diversi – e con diversi intendo innamorati – non bisogna necessariamente rompere con la tradizione.
Quasi mi vergognavo ad essere romantica.
Io che ero ribelle e volevo un amore giorno per giorno, ricordo che giorno per giorno l’ho perduto.
Voglio essere tua sposa, chiunque tu sarai a spostarmi il velo e il fiore più in là dai capelli, per guardarmi gli occhi.
E se quel giorno sarà un nodo in gola, penserò al fusto, alla sua ruvidezza imperfetta, ai rami deformi che resistono al tempo.
Voglio amarti come si amano le parole, con un abbraccio avvolgente che non soffoca, finché ho uno spazio, un silenzio.
Tanto lo so che domani sarà mare e il mare non chiede parole per la felicità.
Neanche io chiedo a me stessa qualcosa di più che non sia un’espressione, un vestito leggero gonfio di vento.
Sotto la gonna soffia il vento di vita, chissà se gli uomini sanno che la forza nasce nella testa.
Chissa se gli uomini sanno che anche le donne sono imperfette, anche se mascherano le imperfezioni con la cura del tempo e del phard.
Sembriamo rossetti intatti, ma la vita sta tutta in uno sbavo che qualcuno dice eccitante.
Per quel che ne so, dal mio imperfetto ritornai e quel tempo passato mi lasció addosso la libertà d’esser chi volevo, smania di bello a modo mio.
Imperfetta, presente io.
Aurora Ariano
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