Certi uomini sono femministi e non lo sanno, loro hanno capito quanto riserbo dobbiamo alla gentilezza. Se esiste l’amore, deve avere l’aspetto di un gentleman.
Twitter è la mia vineria di nicchia, lontana dal caos, mi siedo. Beviamo un calice. Parliamo. Anche a me piace.
E se smettessi di scrivere. E se tornassi al mutismo delle parole chiuse nello stomaco. O di quelle gridate al vento e disperse dentro al tempo. E se tornassi. Non sarebbe più domani.
Tutte le volte che mi sono morsa un labbro ho trattenuto un’emozione, poi ho soffiato l’errore.
Non so se sia più di moda sentirsi Dio o fare il peccatore. I napoletani pregano e chiamano “faccia gialla”. Sacro e profano. Se non fossi tutto, mi sentirei niente.
Questo mi ha salvato dal bigottismo di paese, perché ho creduto al mondo, ma mai alla gente, fedele solo a quello che non ho visto, ma ho sentito. Battiti di me che non baratto.
Anacronistica me, nel tempo che non si riconosce. Ritorno sabbia e vetro. La consistenza. La trasparenza.
Chissà sa l’aria si riscalderà, il sole fuori inganna. È una femmina che ti guarda per strada, poi ti dice no.
Fuori alla Chiesa tutti aspettano la sposa. È un’aria festosa. Solo un vecchio si emoziona.
Io mi chiedevo come sarebbe finita, se ti avessi lasciato fare, parlare. Mi accennasti l’amore, ma non ero in vena di chiacchiere. Me lo cantasti. Nessuna musica, solo la voce tua che vibrava di sentimento. Così lo ascoltai. E cantai con te.
Ho sempre pensato di essere tutto oppure niente. Estrema, persino nel colore dei capelli, come se la forza dovesse essere d’impatto. E invece no. La forza è abbronzatura che copre la pelle, uniformemente. Quella che resta.
Ho provato a rileggere stralci del mio blog. Da sola, a voce alta. Freddie si mischiava col nero della stanza, ma riuscivo a sentirlo. E a sentirmi. È stato bellissimo. Un buio pieno.
E poi guardo i barboni sopra i marciapiedi e i loro occhi umidi. Smarriti, come quelli delle persone che che non trovano un riparo, sebbene abbiano un tetto.
Sono convinta che la salvezza della mia generazione e di quelle passate – che ancora arrancano a fatica dietro al tempo – sia l’emozione. Un buon motivo per inventarsi sempre un colore accesso. Un vestito, una casa, un sole.
La rete non costruisce la verità, nemmeno la vita. Ma sono un ragno e resto dentro a questa trama, appesa a una bellezza sottile che richiede equilibrio.
Servono più donne al potere. Oppure che gli uomini scendano da casa vestiti di sola sensibilità , senza sentirsi ancora in mutande.
Mi capitava di girare per casa, annusare la vita nel legno dei mobili antichi e dentro ai buchi dei tarli ci trovavo umanità.
Era una stanza poco illuminata, l’odore di bruciato non era nostro. Noi eravamo fiamma. E poi non lo sentimmo più, troppo vicini, mentre c’eravamo scambiati i sapori e ancora assaggiavamo labbra.
Facciamo finta che l’isola sia solo il posto in cui dormiamo insieme . Così il sogno si avvicina, ma noi restiamo svegli .
Chi dice che l’abitudine stanca, si è stancato prima di trovarne una. È più noiosa la ricerca che la felicità.
Eppure mi piace viaggiare. Eppure mi piace cambiare. Fino a che non mi stanco, poi torno ad amarmi, silenziosamente.
Una donna è fatta di pezzi suoi. Cristalli di luna. Frammenti di passato rattoppati a ricucire una memoria. Sogni molli come l’orologio di Dalí, che galleggiano nei meandri della mente. Di scarpe che si trascinano giornate, tirando su mucchi di polvere e di vita.
Il disincanto è la vittoria dei superstiti.
“Ora letto”. Incipit della poesia notturna, affermativa di un’affermazione che, tutte le sere, dedico a me.
La differenza fra gli scuri volti e i volti scuri è che solo i secondi sono capaci di bianchi sorrisi.
Sabato di pensieri filtrati come la luce del sole, di risvegli dolci e caffè amari. La lentezza ha una “mala reputazione”, io penso che ritagli di momenti flemmatici giovino alla frenesia. Pertanto mi godo questa calma, tutto intorno sembra diverso, nella prospettiva di me.
Vorrei scrivere fino a consumare le dita, ma non faccio la scrittrice. Non mi sveglio ogni mattina per andare in editoria, mio malgrado. I’m a writer, that’s all. Lo sono. Da dentro. Da sempre. Buongiorno alle inclinazioni,alle passioni, alle emozioni.
Le attese le tollero solo se non sono pronta. E poi mi perdo in montagne di vestiti mentre urlo “cazzo, è tardi”, volevo essere Alice, ma io sono il Bianconiglio.
Il problema non è il tempo,è la sua “significazione”. Il dolce far niente non è dolce se poi già non si fa niente,il lavoro non è gratificante se ci toglie l’aria e la libertà.Una società che funzioni dovrebbe fare del tempo un filone di pane da spartire. Utopistica la normalità.
L’elasticità è la vera chiave di bellezza. Senza, diventerei ugualmente vecchia, con qualche ruga in più, con qualche cruccio in più. Ma io distesa voglio invecchiare, nel respiro di una pelle e di una mente libere. Voglio essere prateria.
Non ho mai amato il vittimismo, trovo che piangersi addosso amplifichi la tristezza, come un eco inconsistente di una parola che non serve e neanche mi fa ridere. In fondo vogliamo solo questo, ridere ancora. Ridere sempre.
Sentivo una pesantezza delicata, quelle giornate erano ciglia lunghe sull’affaccio di un cielo che mutava.
Ho detto tante falsità, ma le credevo vere. Una folata di vento le ha dissolte in silenzi e ho riflettuto con la testa al fresco. Così, con lo scompiglio, sono maturata dal mio frutto acerbo e sono caduta. Qualcuno mi passerà accanto e raccoglierà sapore.
La gente fa presto ad inquadrare cose che poi non restano appese, perché l’immagine cade e restano facce, che non contemplano più la vita.
La questione è il “posizionamento”. Non è da che parte stiamo, ma da che parte andiamo. Chissà cosa vogliamo, noi che non facciamo più progetti, ma la vita è la stessa.
Il fumo fa male. Me lo dico ogni volta che accendo l’ultima sigaretta e caccio il pensiero più doloroso, che m’ammazza, mentre mi accorgo che i piaceri hanno la stessa durata dei propositi buoni.
Quella ruvidità che sottendeva la voglia mia di amore, lingua di gatto, ti leccai la vita asciutta senza troppe moine. Semplicemente mi regalasti fiducia e io mi avvicinai.
Vorrei fare molte cose per le donne. Quindi anche per gli uomini. Spesso il blog mi sta stretto, le parole scalciano per mettersi dentro a ogni cosa. Dentro a un odore, ad un’ immagine, in qualsiasi posto dove qualcuno possa fermarsi estasiato a contemplare bellezza.
Forse sono ancora giovane, ma mi approccio alla vita come se non avessi più l’età. Con quella densità che riempie gli spazi e ancora mette colore, sicché il tempo non possa essiccarsi.
Il mondo intero può rotolare sotto i piedi del mio umorismo che non dà spettacolo, ma rido uguale.
Il buio conosce piacere e lacrime e gambe che strusciano la vita nascosta sotto le lenzuola. La notte è la dama di compagnia, le donne signore che non vogliono più stare sole.
Non ho mai visto niente di più bello di un uomo innamorato.
Quando qualcosa non va cammino a piedi. Guidare mi rilassa, ma la rabbia vuole guardare il mondo in faccia, stargli al passo, poi arrossire, di fronte alla sua risposta gentile.
Non servono più ambientalisti. Non servono più ecologisti. Non servono più animalisti. Servono più sentimenti. Sono in estinzione. Salviamoli.
Dopo la pioggia resta l’odore di bagnato, malinconia dei giorni andati, ma l’aria è cambiata già.
Ricordo le scarpe di certe persone. E il loro modo di unire le punte o tenere i piedi larghi. E le vite lucide o logore. Ricordo i piedi per terra, quando la terra sotto i piedi mancava o c’era.
Cosa resta del futuro, siamo disabili con infinite potenzialità.
La finestra è aperta e coda mozza segue gli uccelli. Chissà se sente lo stesso cinguettio che sento io, connesso, guardiamo il mondo insieme.
Ti usciva il mare dagli occhi, ma io sentivo dolcezza.
I sogni hanno cent’anni e l’entusiasmo di un bambino.
Senti questa musica. È soul. Chiamala pure anima.
Ci siamo detti tante cose, parole morte che il cielo ha chiamato a sé, mentre noi li chiamiamo ancora sogni.
Le discussioni non chiedono parola, per questo ne ritornano silenzi. Le parole, le parole se le porta il vento.
Chi insegna la saggezza ha letto troppo poco, o non ha vissuto abbastanza.
Rimasi spiazzata nel veder nascere quel sentimento, bellezza colta in un posto in cui non avrebbe dovuto mettere radici, come un miracolo per un non credente.
Lascia che il mondo parli, in fondo son parole.
Ho sbagliato a guardarti in faccia dopo aver guardato il cielo. Sono accecata da questa profondità. Chiudo gli occhi. Guidami, fino a un po’ di ombra.
L’ambizione della mia generazione è la normalità. La chimera di una felicità che non scappi troppo in fretta dalle mani. Resta, ti leveró la noia, mi laverò la vita dal torpore.
Sono sicura che il mare non sia una droga, sebbene non possa farne a meno. La bellezza non crea assuefazione.
Parliamo di attualità. Quel momento che richiede una presenza che attualizzi il niente, lo imprima dentro alle ossa e qualcosa di freddo diventa caldo. Precisamente, diventa tuo. Un quadro di Raffaello, un arrangiamento, una conversazione. Il niente chiede esistenza.
Il silenzio. Il vento e il deglutire il niente attorno che cammina sulla pelle, anche se non si vede. A piedi scalzi. Il mare. L’odore dell’aria che cambia. Arriva l’estate.
A questi occhi verdi saprai cosa raccontare, quando un prato sembrerà più verde, quando l’erba bagnata avrà un profumo più intenso e gli uccelli sapranno rendere il silenzio meno pesante. Ecco, guardami – quando questo accadrà – e dimmi che ci amiamo. Sarà più naturale di tutto.
Non sempre mi sono sentita libera e felice nello stesso tempo. Ma l’ignoranza non mi ha mai liberato da qualcosa. Se giri lo sguardo nulla si sposta. Tutte le volte che mi sono sentita libera, sapevo. La conoscenza, solo quella, mi ha avvicinato a una libertà che si chiama idea.
Da piccola me ne stavo ad almanaccare sul tempo e quale congiura ha fatto poi della fantasia la frenesia.
Eppure stai sempre lì. E io ti guardo come si guarda una femmina. Sono in tua contemplazione. Ma a volte sei così lontana. E poi così vicina. Oppure è solo che è tutto un girotondo e noi non siamo più bambini che giocano a toccare la luna.
Cammineró fino a trovare una panchina al sole, dove la felicità mi passerà accanto – con il suono del vento spostato dalla coda di un cane – e l’orizzonte mi guarderà negli occhi.
Ogni cosa attaccata alle pareti – che sia un quadro o una certezza – sottende qualcuno che la contempli estasiato.
Non so se morirò nella mia solitudine piena o nella nostra relazione, giacché non rinuncio ad entrambe.
Una sera d’estate è il giorno migliore per partire, scordandoci che passerà.
Sarà che ho bisogno che la mia solitudine si mischi fra la gente, fra turiste bionde e io che ne ammiro il pallore senza spavento, macchine fotografiche che guardano con attenzione le bifore gotiche delle Cattedrali. E io che invece sono assente, ma vedo tutto.
Una folata di vento mi ha strappato le emozioni, ma ha avuto cura di lasciarmi il suo brivido addosso, così avrei saputo riconoscerle ovunque.
Ricorderai i giorni in cui aspettavamo la pioggia, una scusa, per dormire insieme e non chiamarlo amore.
Qualcosa resta dentro, non so più identificarlo. È la farfalla sul davanzale del balcone. Si appoggia un attimo, il tempo di un battito, poi vola via.
Gli stilisti lo sanno. Non basta il talento. Serve un’idea.
Destrutturiamo gli abiti. Uscirà fuori una ricercatezza nuda. Non amo le cose pompose, soffoco abbastanza dentro la mia complessità. Un abitino di seta basterà per una vita morbida ed elegante.
Le parole non ti toglievano la paura dagli occhi, pagliuzze luccicanti – dentro – si muovevano con scosse sismiche, ma tu eri fermo. La paura era con te. Ma tu eri con me.
Quando pensiamo di non aver investito niente, investiamo noi. Neanche bravi commercianti, un tempo si sorrideva dietro ai banconi.
Non pensare con la testa degli altri. Ogni testa ha il suo taglio.
Non sono una chiacchierona. Non so quanti lo abbiano capito. Che sono riservata, intendo. Il fatto è che quando qualcosa mi interessa, i silenzi forti diventano parole forti. Mi converto a me.
Il fatto che tutti parlino di insoddisfazione, ottenendo consensi, non riempie gli scompensi.
Poche cose soddisfano come il sesso. L’amore, per esempio. Solo che non passa.
Verrà un’altra primavera, quella inaspettata, come il sole in pieno inverno. E sarà bellissimo.
Volevo imparare a suonare, ho trovato accordi solo dentro alle parole.
Certezze senza tetto. Un terrazzo mi basta.
Come i discorsi che impari a memoria, poi dimentichi ogni cosa. Pensavo di sapere tutto, ma la vita è più preparata. Meravigliosa, la dimenticanza che insegna.
Tremo di riflesso ai tuoi occhi, cielo. Sono luna che rimane in alto, anche se tutti la portano giù.
Stiamo tornando verso il “minimal style”, che si tratti di cibo, vestiti o sentimenti.
Qualunque cosa accada, tu portami al mare.
Non so se sarà, so che sarò.
Ho riconosciuto la verità dell’assenza che eleva il niente a fantasia. Così nasce il senso di qualcosa che chiamiamo tutto. Che insidia sarebbe la vita in due, se non ci inventassimo l’amore.
Quando sei piena di sentimento, un pianto o un sorriso cacciano la stessa intensità dagli occhi.
Uva fragola. Succo di noi. Sogno vitreo. Lacera il cuore. Succhia la nostra essenza, fino a una goccia di reale.
Penso che il femminismo abbia a che fare con l’urgenza. Quella interiore, intendo. Sentire che le cose non vanno così. Finché ognuno creerà le sue ragioni le idee non si sposeranno . Solo un’attesa eterna. Del niente.
Bastino gli uccelli e una mattina azzurra a credere alla vita.
Sposa io sarò – dentro agli occhi tuoi – che alleggerisci l’anima – tulle attorno alla vita. Mi hai girato i pensieri in un ricciolo di panna – dolce – resto amaro per aggiustarmi la bocca nel sapore mio. Corretto l’amore mi ha – sediamoci. I sentimenti richiedono tempo.
Alla triennale ho scritto una tesi sull’impasse della vita amorosa. Vedevo un buco nero. Rapporti stesi e noi caduti a terra. C’è la crisi – dicono – la gente non lavora. Non si sposa. I Paesi poveri sono ricchi di relazioni.
I quadri inchiodati sono caduti. Anche noi. Neanche l’ombra resiste vicino ai muri. Imbiancare pareti per un po’ di luce. Finestre aperte a un’ estate nuova. Il sole baci nuovi amori. Abbronzi la pelle candida, senza scurire i cuori.
Se toglie il sonno, taglia il tempo. Riempie il soffitto nella stanza . Non è un miraggio, ma mi disseta. Non ho riserve, solo palme negli occhi. Sono arrivata a Los Angeles . La gente è distratta .Quest’onda non ci coprirà.
Che trionfi l’inconsistenza. Contro la sostanza. Sarà forza, questa fragilità che resta e resiste. Tutto cambia. Il senso. Non m’inganna il tempo, se esisti dentro, non sei niente.
La tua camicia addosso e tu che mi guardi i piedi, scalzi, mentre giochi a fare l’americano, mi offri un caffè lungo, canti.
Non è prosa d’amore che sottende tristezza. La mia è una malinconia senza fine, che salva l’amore, puntualmente.
Quanto può durare uno sguardo che ho ancora nella mente. Misure senza metro, che allungano la vita.
Non lo so come mi vedevi, ma guardavi i miei capelli come oro colato e io, duttile, mi scioglievo in quegli occhi.
A dispetto dei luoghi comuni, qualche inversione di marcia l’ho saputa fare.
Sono una sostenitrice del cioccolato. È una delle poche cose nella vita che lega il fottuto piacere alla pace mentale. Il cioccolato amaro, secondo me, combina entrambi. Perciò io lo sposo. Insieme al benessere.
Vanity Fair. Since 1848.
Solitamente quando nasce un social, nasce due volte: nella mente dell ‘ideatore, nel suo sviluppo sul mercato, fra la gente. Twitter ha il vantaggio di restare fedele a sé, non è il locale in di passaggio, è il posto in cui torniamo, abitudinari, perché ci stiamo bene.
Quando ti senti amata il chiaro diventa un mood. I vestiti, i capelli, il volto, il sorriso, una giornata storta. Mille facce per un bagliore. Mood in Moon.
Molte volte ho pianto di mancanza, ma, grazie alla solitudine, non mi sono più mancata.
Nessuna ricchezza è stata scovata senza andare a fondo: i reperti antichi, le persone sotto alle macerie, la bellezza stanca sotto strati di trucco, la fragilità sotto la forza apparente, persino l’intimo succinto sotto un vestito sobrio.
Se fossi certa di avere qualcosa da dire, me ne starei in silenzio.
Se l’amore non avesse un nome, lo sapresti trovare ugualmente. Nella penombra della stanza da letto, mentre ti guardo in silenzio, dentro a due braccia che lo stringono – insieme alle ginocchia – affinché non crolli davanti a te.
La provincia è il mondo dall’altra prospettiva, dall’altro lato del cannocchiale, quello che vede tutto e tutti si scordano dei suoi occhi.
Era tremendamente bella e imperfetta, come quelle cose fragili, uniche, porcellane di stimato valore.
La tecnologia offre grandi possibilità, basta restare connessi, a sé.
Per sintetizzare. Vorrei vivere il territorio con la testa nel mondo. Tutto chiaro, no? A me chiarissimo. Ho visto giovani fuggire lontano e non tornare neanche per le vacanze. Quei posti erano stupendi, ma loro si sentivano fuori da lì e da qui.
L’estate è un bikini, se mi va. Insalata di farro sulla spiaggia. Un libro che poi non leggerò, perché il mare ha già aspettato troppo.
Che poi dicevo sempre di non essere così napoletana. Sono di provincia. Sono cresciuta con mia mamma che diceva “parla in italiano”. I miei tratti, i miei capelli, i miei occhi,non sembrano di un “autoctona”. E invece il mio corpo è un Vesuvio che fuma passione, senza fare danni.
E quella passione arriva dentro ai pensieri, che vengono dal corpo, così io non so distinguere quello che sento da quello che dico. Lapilli di me sparsi nell’aria, nella terra mia e nel mondo, che è mio e di tutti quanti.
Sono fermamente convinta che i ruoli di influenza non debbano essere ricoperti da chi si ricopre di gloria senza pensare agli effetti delle sue azioni. Chi usa le parole per distruggere anziché costruire. Chi minimizza per ingigantire. Poi rimane piccolo.
Voglio mischiarmi in mezzo alla primavera del Giappone, il rosa dona alle chiome, alla mia testa meno, ma alla mia vita sì. La vie en rose, anche se resto a casa. Siamo insieme, vedo la cima.
Sono la foglia che ha sorvolato il vento, nel tempo del niente.
Quando sento dire che “fuori è la vita vera”, penso sempre che dentro di me tutto sa di vero. E tutto il vero io lo metto qui, dentro a questa casa, dove gli uccelli cinguettano, ma non sono in gabbia.
Dal terrazzo di casa vedeva tutta la città. A cosa serve un attico, se non a superare la paura dell’immensità?
La punta della lingua per trattenere le parole che non trovo, ma sono lì. Per toccare un dolore che preme. Per strusciare piacere. Per leccare poesia, appena il tempo che si alzi una piuma.
Pensavo fosse indecisione – il rumore dei fallimenti miei – invece era una fisarmonica.
Aurora Ariano