Rubrica – Non sono Penelope (ma neanche poi così male)
Alle porte di Natale le spose respirano aria brulicante di magia.
Gli invitati forse meno, attanagliati dagli oneri della festa, mandano al dio freddo l’unica benedizione.
Niente più abiti pesanti, le spose novelle vestono di freschezza e non si adattano al tempo, è la cerimonia tutta ad essere allestita su misura, quasi un abito sartoriale.
I matrimoni di oggi sono wedding party, feste a tutto tondo.
Ma in un epoca in cui i rapporti sono malati terminali, contaminati dal male moderno dell’apatia, che valenza assume il matrimonio?
Il giuramento di un “per sempre insieme”, retaggio di una cultura che non crede più a tale valore, diviene miraggio.
E allora andiamo all’arrembaggio, quasi a tentoni, in un’avventura dove la mala sorte è colpevole della disfatta o alibi di un misfatto.
I pensieri fanno presto ad adattarsi ai cambiamenti, come le mode.
Il classico cambio abito del saluto finale, in vista del viaggio di nozze, è stato sostituito da un cambio look repentino, che accompagna il taglio della wedding cake.
Forse è la magia di quel giorno a restare inalterata nei secoli e nelle generazioni, come la verità conclamata che, nudi di veli e panna montata ad edulcorare il momento, resta la volontà a corroborare la durata dell’amore.
Sposi di amori che durano nel tempo, sposi colpo di fulmine e proposta imminente, sposi di invitati e segnaposti da pensare, sposi di addobbi color Tiffany, sposi fazzoletti avorio per non tradire la tradizione, sposi da anteprima e confettate, sposi che il matrimonio è per gli invitati, sposi per pochi intimi e matrimonio a Capri.
Ma tu, amore, sposami solo perché mi ami, guardami arrivare con il velo a coprirmi l’imbarazzo e prendimi la mano.
Fallo allo stesso modo di quella sera, quando il locale era pieno di persone e noi, occhi negli occhi, a fare l’amore.
Saremo di nuovo insieme, io e te, sopra il rumore della gente, a bere un calice come il primo appuntamento.
Aurora Ariano