“Obesa”.

Una parola che risuona come un tonfo, come un vecchio volume che cade a terra sollevando quintali di polvere.

Quintali.
Tonnellate.
Risatine stridule.
Spintoni.

Mi sveglio di colpo.
La fronte imperlata dal sudore.
Sento le palpebre pesanti.
Con le mani – ancora sudaticce – mi tocco l’addome, come per accertarmi che sia sempre io.

Cioè io senza più nessuna armatura, solo i segni di una battaglia conclusa con la mia vittoria.
Forse, camminando per strada, sarò sempre additata come “quella che era obesa”, ma io sorrido e me ne fotto, perché ho spezzato il circolo della fame e pure quello del silenzio.
Adesso parlo.
Parlo per me.
Parlo per quelli come me.
Quelli che nascondono una mole di dolore sotto una mole di grasso, che diventano grossi per non mostrarsi fragili.
Il benessere è diventato il mio nuovo obiettivo di vita.
Ci sto attenta da quando ho scoperto che il cibo i problemi non te li risolve, “te li sazia”, nel senso che stai bene così.
Se non fosse che sei appagato il tempo di un morso.
Adesso mi sento felice, i vestiti sono vestiti anche per me.
Non sono più un ammasso informe di tessuto e ho scoperto un nuovo taglio di capelli.
Ogni tanto mi capita di passare davanti al camioncino all’angolo della strada, quello dei panini.
Una volta mi sono fermata, dopo molto tempo.
Il signore dietro al banco mi ha sorriso e mi ha detto: “cosa ti preparo?”
Ho ricambiato il sorriso e gli ho risposto: “il solito”.
Godendomi la sua faccia perplessa, prima ancora del panino.
Ho scoperto il valore del cibo, ma soprattutto il mio.
Mi trascinavo il peso di me stessa insieme al fardello dei miei problemi.
Un giorno mi sono guardata allo specchio, quello che evitavo da anni – nonostante fosse appeso alla stessa parete da tre generazioni – e mi sono chiesta come stessi davvero.

Questo il punto.
Tutti si preoccupano di quanti chili di grasso porti addosso, nessuno di quanti chili di sofferenza porti dentro.
Ogni giorno dovrebbe cominciare con un “come stai?”, con una presa di consapevolezza.
Mi avvio con fare più veloce del solito verso il bagno e, dopo essermi messa nuda e a nudo, mi vedo per la prima volta.

Riapro gli occhi.
Mi sarò addormentata di nuovo, nel giro fra il bagno di casa e il paninaro all’angolo.
Scendo dal letto e passo nel corridoio.
Mi fermo davanti allo specchio di sempre.
Non sono “quella che era obesa”, sono solo Claudia.

Il nuovo taglio mi dona.
Ancor di più il sorriso autentico di felicità, quello dal sapore ineguagliabile della conquista.
Aurora Ariano